giovedì 8 novembre 2007

Verso lo spot..."sensibile"

Dopo avere letto dispense e vagato per siti, azzardo un'ipotesi(oggetto della mia tesi).
Stiamo andando verso un ribaltamento(probabilmente solo apparente) della funzione della pubblicità? Dallo spot che vende un prodotto, una marca, uno status, allo spot che non vende niente altro che audience, preferenze, orientamenti...
Uno spot che io definisco "sensibile", dove per sensibile s'intende la capacità di dilatare, di espandere, attraverso le reti di social network, una sorta di mappa mentale di gusti e opinioni. La pubblicità non serve più per vendere ma per costruire reti sociali. Cosa ne pensate?

4 commenti:

Paola ha detto...

La questione che sta alla base di quanto tu dici ha radici nei cambiamenti della società di oggi, nel modo di comunicare con gli utenti da parte delle aziende. Un'azienda che oggi si impone e parla non va lontano. Oggi per avere successo occorre che il proprio prodotto sia rated, sia recensito da qualcuno di trusted, da qualcuno "che conta".
La questione è stata esposta in modo perfetto da David Weinberger docente di Harvard al Center for Internet & Society allo IAB Forum. L'esempio del professore riguardava l'acquisto di una lavatrice. Recatosi sul sito della marca, dopo aver letto tutti i dettagli, non era soddisfatto delle informazioni ottenute, come fare a reperire più informazioni? Si usa un motore di ricerca ("You google it!") e così ci si imbatte in un forum di persone che discutono proprio dei pregi e difetti di quel modello di lavatrice.
Voi vi fidereste di più del sito ufficiale o delle persone dei forum? La seconda risposta è quella che Weinberger si è dato così come la maggior parte degli utenti in rete. Io mi fido più di Bill che di Ariston perchè Bill è un cliente come me e al quale posso porre tutte le questioni che mi vengono in mente, certa di una risposta disinteressata.
A questo proposito occorrerebbe aprire un altro lungo discorso sul trust in rete e sui casi di "smascheramento" che hanno compromesso la fiducia verso il blogger e verso la marca.
Ma questa è un'altra storia ;)

saimon ha detto...

La pubblicità vivrà proprio per assolvere il suo compito di incrementare il fatturato: fuori di qui sarebbe una visione snaturata delle cose, sarebbe un ibrido senza il suo scopo nativo: quello di rendere noto e di creare un'aura di indispensabilità al prodotto. La pubblicità è vigliacca: cambia a seconda dei tempi, si fa compagna e amica dei giovani negli anni 80, li rincorre fino al nuovo millennio a botte di colpi di scena...e come tutte le entreneuse (passatemi il termine) più consumate gioca con sè stessa fino a confondersi e a confondere...ma resta sempre lei!!

Anonimo ha detto...

per me sono già un po' di anni che la pubblicità vende "sogni" e non più il prodotto. Le pubblicità di automobili non vendono l'auto ma lo status, così come alcune di abbigliamento ma anche la pasta o le merendine. Credo che la pubblicità della Plasmon vista a lezione non avrebbe alcun senso al giorno d'oggi.

Anonimo ha detto...

E' vero che la pubblicità vende "sogni". Il punto è associare bene i sogni al prodotto. Vende il nome (la marca) e lo associa a uno stile che presume il suo target condivida : - potenza maschia per le grosse auto; - libertà di comportamento per i giovani frequentatori di bar, ecc.) - mentalità disincantata per i giovani che vanno a vivere in case nuove con pochi soldi (ikea, accidenti!). E innegabilmente, quando è fatta bene funziona. E anche quando è fatta male (l'orribile per me peto dello scoiattolo di vigorsol resta comunque impresso).
CP